domenica 8 aprile 2012

Il piacere di fare sport per vivere meglio: intervista a Nicola Pfund

Con l'arrivo della bella stagione torna la voglia di stare all'aperto, di muoversi e fare sport. Ecco l'intervista integrale che mi è stata fatta qualche tempo fa dal settimanale ticinese "Azione" sul piacere di correre e di fare sport e che si rivolge in particolare a chi inizia a correre.

CHE BELLO! Correre in libertà.
Il libro che ha dedicato alla pratica della corsa mette spesso in rilievo il piacere di questa attività. Chi comincia a praticarla, però, non può evitare di testimoniare personalmente anche la fatica della corsa, che varia in funzione all’intensità dello sforzo. Lei sostiene la necessità di compiere uno sforzo “moderatamente inteso”. Che cosa vuol dire?
Il difficile della corsa sta nell’iniziare, superare quel periodo di adattamento che ci consenta di correre anche per mezz’ora o più senza fermarsi. All’inizio bastano pochi minuti per avere il fiatone, sentire il cuore che scoppia nel petto e avere il classico mancamento di gambe. Ma il nostro corpo è qualcosa di eccezionale e alla fine riesce ad adattarsi, permettendoci di compiere sforzi sempre maggiori con più facilità. A quel punto, correre non è più una fatica ma diventa, per tutti credo, un piacere. Per chi corre già con una certa disinvoltura suggerisco di fare uno sforzo “moderatamente intenso”,  ovvero mai eccessivo ma neppure troppo “soft”. Per intenderci, attorno all’70-80% della propria soglia anaerobica. Solo così si hanno degli effetti positivi, evitando anche infortuni dovuti al sovraccarico.
Con l’arrivo della bella stagione, ma in inverno anche in palestra, si vedono molte persone correre. Ciascuna, però, sembra correre a modo suo. È possibile cominciare a correre senza un’istruzione tecnica? È davvero un’attività tanto “naturale” da poterla esercitare senza che qualcuno di esperto dia un’occhiata a quello che stiamo facendo?
Ciascuno di noi ha, come in ogni cosa, il proprio stile. Nella corsa lo stile dipende sostanzialmente dalla struttura morfologica del soggetto. L’assetto di corsa può essere sì migliorato, attraverso esercizi specifici, ma non stravolto. Pensiamo alla Radcliffe: corre malissimo, ma se dovesse essere reimpostata probabilmente non riuscirebbe a fare quei tempi sulla maratona e soprattutto andrebbe incontro a numerosi infortuni. Sì, in definitiva, penso che correre sia un gesto naturale, da compiersi senza pensare di essere in qualche modo goffi. Va da sé che una visita medica preventiva è sempre d’obbligo per chi si avvicina alla corsa e che nel caso sorgesse qualche problema muscolare o tendineo è opportuno rivolgersi subito ad un esperto: magari si risolve cambiando solo le scarpette o con qualche esercizio di stretching in più.
Le descrive la corsa come una pratica non solo utile a preservare la salute fisica ma anche utile al raggiungimento dell’equilibrio mentale. Non sono poche le pagine del suo libro in cui paragona la corsa alla meditazione. Come è giunto a fare queste riflessioni?
Credo che faccia parte di un processo evolutivo e di crescita che mi ha interessato come sportivo. Uno dei pregi della corsa è la possibilità che ci offre di accedere al nostro sé per conoscerlo meglio. Sembrerà strano, ma ogni volta che si esce a correre, se lo si fa con il giusto spirito, compiamo un viaggio non solo lungo un percorso esterno, ma anche dentro noi stessi. La corsa attiva un’energia che arriva da lontano, libera la mente e con essa la riflessione: si è più pensosi, più sensibili alla cose che ci passano accanto e ci accadono dentro e che spesso trascuriamo.
Ho il sospetto che la corsa praticata per raggiungere e preservare l’equilibrio interiore abbia poco a che fare con l’esercizio dello sport cui sono sottoposti i giovani iscritti ai nostri molti club sportivi e gli adulti che svolgono una pratica agonistica. Sui primi agisce la pressione degli allenatori, che devono selezionare i migliori atleti; sui secondo agisce il desiderio di affermarsi. Leggendo il suo libro sembra che è possibile cercare l’equilibrio mediante lo sport solo fuori del contesto dello sport organizzato.
Purtroppo resiste l’idea che il tempo per lo sport è ben speso solo se produce in qualche modo risultati e onorificenze. Altrimenti è tempo perso, non serve. Perché fare sport se poi non si gareggia e non si vince? È un concetto di utilità un po’ ristretto e che è tipico della nostra società. Correre, fare sport è un’attività che dà piacere in quanto tale, e che vale per il fatto stesso di essere vissuta e non per ciò cui eventualmente può servire. È, come si vede, un discorso educativo e culturale che riguarda ciascuno di noi.
Quando, però, manca lo stimolo della competizione, la motivazione tende a scemare. In assenza di un obbiettivo agonistico è difficile darsi l’impulso a svolgere un’attività sportiva. Occorrerebbe saper lavorare su di sé in una forma che lo sport, di solito, non insegna. Ciò significa che per esercitare un’attività come la corsa allo scopo di trovare e conservare un equilibro per il corpo e la mente lo sport non è una risorsa sufficiente? Che occorre perseguire uno stile di vita particolare?
Senza andare troppo lontano, pensiamo alla sensazione di benessere che si prova dopo aver fatto un po’ di jogging all’aria aperta, in campagna o in un bosco. È assolutamente fantastica, e per questo ci vuole veramente poco! Se c’è uno stile di vita da perseguire, direi perciò di cercarlo nelle cose semplici, quelle per le quali siamo stati “progettati”, ma che spesso trascuriamo a vantaggio di altre attività. Il movimento – camminare, correre, nuotare – è parte della nostra essenza di uomini e senza di esso non possiamo essere né completi, né veramente felici.
Non è difficile immaginare che molto lettori del suo libro penseranno che sarebbe bello impegnarsi della corsa come lei incoraggia a fare, ma che – purtroppo – loro non hanno tempo. Che la giornata è già troppo piena di cose, per poter anche indossare una tuta, e andare a correre. Il sentimento dell’assenza del tempo necessario per fare sport sembra condiviso da molti, e quei pochi che riescono a trovare il tempo sono quelli che praticano lo sport, appunto, per competere, vale a dire ancora sotto la tirannia del tempo. Per lo sport come lei incoraggia a praticarlo non c’è mai tempo, esattamente come per la lettura (attività prevalentemente femminile, come lo è il jogging).
In genere, quando qualcuno dice di non aver tempo per correre, sorrido e chiedo se si ritiene più impegnato del presidente degli Stati Uniti  che riesce sempre a ritagliarsi un po’ di tempo per fare jogging…   È vero ci sono persone apparentemente super-impegnate, tutto il giorno di fretta, di qua di là, sempre di corsa… per accorgersi, magari la sera, che un altro giorno è passato, ma non è stato un giorno vissuto pienamente. Stili di vita tiranni, forme di esistenza sbagliate. A costoro dico: attenzione, ritagliatevi almeno un piccolo spazio vostro nella giornata per vivere veramente. Potrebbe essere quello di una corsetta a piedi, nel respiro del proprio sé, magari già al mattino prima di iniziare la carambola di attività della giornata lavorativa.
Oramai, non mi capita più di vedere persone correre senza un paio di cuffie. D’altronde, non c’è pubblicità di abbigliamento sportivo per la corsa in cui non si veda qualcuno indossare delle cuffie. Correre senza musica sembra diventato impossibile. È un argomento assente dal suo libro. Perché?
Su questo lascio libertà. Per quanto mi riguarda, visto che il jogging è per me contatto con la natura, preferisco non ascoltare musica quando corro. So che molti lo fanno, forse perché ispira loro il ritmo
della corsa, forse per estraniarsi maggiormente da ciò che li circonda. Certo, in tal modo perdono il piacere sottile di ascoltare i rumori della natura, ma anche quello di staccarsi per un attimo dai lacci delle tecnologie…   
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